Tartufi
- Dettagli
- Visite: 14375
I tartufi sono ascomiceti ipogei (sotterranei) appartenenti, in gran parte, all’Ordine Pezizales, alla Famiglia Tuberaceae ed al Genere Tuber e viventi in simbiosi con essenze arbustive ed arboree.
La Legge quadro nazionale n. 752 del 16/12/1985 e la L. R. n. 35 del 27/3/1995 regolamentano la raccolta, la conservazione e la commercializzazione delle seguenti 9 specie e forme di tartufo:
-
T. magnatum Pico 1788,
-
T. borchii Vittadini 1831,
-
T. aestivum Vittadini 1831,
-
T. aestivum fo.uncinatum (Chatin) Montecchi e Borrelli 1995,
-
T. brumale Vittadini 1831,
-
T. brumale fo. moschatum Ferry de la Bellone 1888,
-
T. macrosporum Vittadini 1831,
-
T. melanosporum Vittadini 1831,
-
T. mesentericum Vittadini 1831.
In Basilicata, le ampie superfici boscate montane e collinari ospitano sia tutte le specie di tartufo di interesse commerciale sia alcune altre specie di Tuber, Genea e Choiromyces (Cerone et al., 1994; Marino, 1999; Tagliavini, 1999; Cerone et al., 2000; Cerone et al., 2002 a, b; Marino et al., 2002).
La produzione delle tartufaie naturali è andata via via diminuendo negli ultimi anni sia in Basilicata sia, in maniera più sensibile, in quasi tutte le regioni tartuficole d’Italia.
Le cause principali di tale decremento sono senza dubbio da individuare nella distruzione di alcune aree boschive, nella cattiva conduzione dei boschi, nell’eccessiva e non controllata raccolta dei tartufi e nello scempio ambientale perpetrato da anni da tartufai senza scrupoli.
Malgrado ciò, le risorse tartuficole naturali possono costituire ancora, per qualità e quantità, una fonte cospicua di reddito (Daprati, 2000) e giocare un ruolo importante per lo sviluppo socio-economico delle popolazioni delle aree interne della regione. Inoltre, considerata la vocazionalità tartufigena di molti ambienti naturali della Basilicata, la coltivazione di questi pregiati funghi ipogei può assicurare, come accade da tempo in altre regioni italiane (Marche, Umbria, Piemonte, Toscana, Emilia Romagna), ulteriore possibilità di reddito agli agricoltori lucani residenti in aree marginali.
La tartuficoltura è, però, una pratica agricola di non facile realizzazione, da attuare soltanto dopo attente verifiche dell’esistenza delle condizioni pedoclimatiche favorevoli allo sviluppo dei tanto apprezzati carpofori ipogei.
Sottocategorie
Neri
Il tuberale nero ha corpo fruttifero nero, globoso o a forma di rene, gibboso e lobato. Molto pregiati sono il Tuber Melanosporum o nero di Norcia o di Spoleto, e quelli del Périgord (Francia); più comune è il Tuber Aestivum detto anche scorzone o maggengo. Il nero si usa più appropriatamente cotto in un piatto. Serve anche per aromatizzare il pâté.
Bianchi
Il tartufo bianco ha un corpo fruttifero glabro, liscio, di colore giallo-paglierino o bruno, grosso quanto una noce o una patata e con polpa compatta, del quale le specie più pregiate sono il Magnatum Pico. Meno pregiato é il Borchii detto anche bianchetto o marzuolo. Il Pico, dal profumo agliaceo intenso e penetrante, tagliato a lamelle con un apposito strumento, si usa crudo per condire pastasciutte, risotti, carni, uova, patate, fondute di formaggio. Cotto, fa piatto a sé nella parmigiana di tuber, un vero e proprio patrimonio in tegame, data la rarità e l'alto costo di questo alimento.